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venerdì 16 maggio 2014

I peccati dei padri: il deficit democratico dell'Italia.

Il testo che propongo è la traduzione di gran parte dell'articolo The sins of the fathers: Italy's democratic deficit di Alexander Lee. In questo articolo, nonostante ci siano dei punti dubbi e discutibili, si danno un'interessante visione e interpretazione del sentir democratico italico, fornendo così degli spunti per spiegare l'esistenza di una forte mentalità élitista che, tra le altre cose, banalizza e si oppone alle crescenti richieste di nuovi strumenti per la partecipazione politica (democrazia diretta e recupero del significato più autentico di sovranità popolare, a volte per l'appunto confuso con la sola “liberazione” da una “dominazione esterna”).

sabato 17 agosto 2013

Elitismo e liberalismo dell'Ottocento

Un miniframmento del libro Critica e crisi del parlamentarismo (1870-1900) mi ha fatto venire in mente di nuovo quella malattia di cui ho già parlato, l'elitismo.
Le origini virali dell'elitismo sono vecchie e albergano nelle risacche di antichi poteri e meccanismi del Vecchio Mondo che purtroppo a volte finiscono per essere una zavorra più che una risorsa storica.
Nato in Francia nell'età della Restaurazione, dopo le esperienze della fase giacobina della Rivoluzione, il liberalismo aveva definito il suo statuto intellettuale di filosofia politica moderna attraverso la polemica con l'ideologia democratica e la demolizione del principio della sovranità popolare come principio incompatibile col parlamentarismo. Sotto questo profilo, il rifiuto del suffragio universale, la tesi che l'elettorato attivo non fosse un diritto ma un'ardua funzione politica da riservare ai soli “capaci”, la convinzione che il sistema parlamentare non potesse non poggiare che sulla base di un suffragio ristretto quale condizione dell'indipendenza e di scelte libere ed illuminate da parte degli elettori, furono assunti che discendevano dal codice genetico del liberalismo dell'Ottocento. Quanto alle funzioni politiche dirigenti, che esse costituissero un privilegio —della proprietà terriera in specie— e dell'alta cultura fu reputato un presupposto irrinunciabile, al di fuori del quale riusciva persino impensabile il buon funzionamento della macchina politica. La tesi del Burke secondo cui “una vera aristocrazia naturale” costituiva “una essenziale parte integrante di ogni grande organismo rettamente costituito”, non espresse soltanto i sentimenti aristocratici del pensatore e uomo politico irlandese ma fu, si può dire, un punto di riferimento costante e diffuso di una parte cospiqua [sic] del liberalismo europeo che conservò a lungo i segni delle sue radici aristocratiche.
(Enfasi aggiunte da me. A parte ciò, il testo è copiato verbatim).