lunedì 12 dicembre 2016

Il 4 dicembre

Il 4 dicembre non avete votato per scegliere due riforme diverse. Non c'erano la riforma (A) e la riforma (B): la riforma era soltanto una. Con il sì avete detto di volere che la riforma fosse promulgata. Con il no avete detto l'opposto. Ha vinto il no, il che significa che la Costituzione rimane quella che era prima — che già non è più quella “originale”, a ulteriore prova del fatto che non è impossibile modificarla.

Questo testo è stato scritto in gran parte dopo il 4 dicembre. Tuttavia ho riciclato appunti e rielaborato riflessioni abbozzate prima del 4 dicembre, ma non ho messo troppa cura nel renderlo più completo, né più aggiornato (ho modificato o aggiunto giusto un paio di cose). Ho tra l'altro rimosso delle digressioni e tali rimozioni potrebbero aver menomato il testo.

Forse molti hanno votato no anche con l'idea di riuscire a “mandare a casa” Renzi, ma è inutile tentare di intitolare al no questa eventuale vittoria o irresponsabilità (a seconda dei punti di vista): la situazione attuale è totale responsabilità di Renzi e dei suoi guru. L'ha voluta lui. Se non pensiamo che lui e il suo staff siano stupidi, dobbiamo ipotizzare che ci sia una precisa strategia (almeno a breve termine), e forse già ne intravediamo i contorni1.

In ogni caso la conferenza stampa2 e le sue dimissioni sono una sua scelta, così come è stata una sua scelta la personalizzazione del referendum, che ha contribuito non poco a inquinare il dibattito sui temi della riforma.

In questo post volevo sottolineare alcuni punti.

No e sì pari non son

Ribadisco che non siamo andati a votare per scegliere quale, tra due riforme, fosse la migliore. È il sì, e soltanto il sì, che poteva far venire dei dubbi. Era il sì, e soltanto il sì, che doveva dimostrare la sua “validità”.

Il minimo dubbio avrebbe dovuto spingere a votare no.

È un po' come dovrebbe essere in ambito giuridico: se c'è il minimo dubbio sulla colpevolezza di un imputato, dovremmo assumere che sia innocente. L'innocenza è la condizione di “default”, lo status naturale del cittadino, che è e resta innocente fino a prova contraria. Bisogna provare la colpevolezza, ma non l'innocenza.

Nel caso del referendum: se c'era il minimo dubbio sulla bontà della riforma, avremmo dovuto votare no per mantenere il “default”, cioè la Costituzione vigente.

Con il sì, si sarebbe scelta una Costituzione diversa. Con il no, non si è scelta una Costituzione diversa, ma si è scelto di non cambiare quella già in essere.

Non resisto alla tentazione di scrivere un'ovvietà che è stata usata, mi pare, da qualche settore dell'eterogeneo fronte del no (anche se formulata in modo diverso): prima di apportare cambiamenti così importanti alla Costituzione, addossandole colpe assurde che non ha e non può avere, proviamo ad applicarla così com'è.

Perché devo votare? Non sono un costituzionalista, io!

Ritengo che per referendum del genere ci siano solo due opzioni possibili: votare sì, o votare no. Tertium non datur3.

Perché?

Intanto perché la Costituzione è scritta in italiano. Puoi farcela, puoi capirla. Con la riforma sarebbe diventata più difficile, grazie al magistrale impegno della Boschi o chi per lei… In ogni caso è scritta in italiano e le sue parole hanno un significato in questa lingua, che è la tua lingua. La Costituzione è la fonte del diritto, quindi anche dei tuoi diritti: perciò studiarla, appassionarti ad essa, è soprattutto nel tuo interesse.

In secondo luogo se vuoi astenerti da un giudizio nel merito della riforma perché non sei in grado di capire se è buona, è necessario votare no.

In un referendum del genere, senza quorum, l'astensione non può essere tattica e gli rimangono solo alcuni significati, tra cui: ci pensino gli altri a decidere4. La paura che gli altri siano proprio come tu credi di essere, cioè incapace di capire il nuovo testo costituzionale e di paragonarlo al vecchio, razionalmente dovrebbe ricordarti i rischi impliciti dell'astensione. E spingerti al no perché il no non è il contrario del sì: il no è la “posizione neutra”.

Il no è la “posizione neutra”, l'astensione è insignificante perché non può essere tattica, e in ogni caso l'esito di un referendum è un verdetto binario: riforma accettata o riforma rifiutata. Quindi non ti resta che prendere una posizione e, non volendo rischiare, la “posizione neutra” è la scommessa con minore incertezza.

Alcuni astensionisti magari sono sedotti dall'idea che il popolo debba scegliere solo chi lo rappresenterà per un tot di anni, dopodiché zitto e muto fino alle prossime elezioni, o comunque non deve essere interpellato su questioni tanto “tecniche” e “complicate” come una riforma costituzionale.

Per fortuna chi ha fatto la Costituzione (evidentemente ispirandosi a ideali democratici più forti, anche se non “estremi”, di quelli odierni5) non la pensava così.

La Costituzione non è responsabile della situazione italiana

Non so come hanno fatto a convincervi che l'Italia è un paese immobile (nel pantano!) per colpa della Costituzione! Un comodo alibi. Ora magari il barile lo passano a chi ha votato no…

L'Italia è un paese — un intero paese — immobile? Siate più precisi quando riflettete tra voi e voi su queste cose: cosa significa che un paese è immobile? Cos'è che è immobile di preciso? Tutto? La maggior parte delle “cose”? Qualcosa? Cosa?

Certe cose che non cambiano (che sono “immobili”) non cambiano o per volontà politica, o perché vi contribuiscono in modo complesso una serie di fattori (anche non politici) che si trovano in un equilibrio difficile da spezzare anche qualora ci fossero la volontà politica e/o la spinta socioculturale necessarie. Qualche contributo a questa inerzia colpevolizzata a scopo propagandistico può essere attribuito pure ad una generica e non meglio definita mentalità italica.

Una cosa che ha impatti rilevanti sulle nostre vite è l'economia. Gli effetti negativi di una congiuntura economica non proprio felice sono molteplici e possono contribuire a far percepire un senso di “immobilismo”, di un cambiamento mancato ma necessario per far ripartire il paese. Bene, la Costituzione non c'entra niente6: se cercate un colpevole, cercatelo nel fallimentare sistema economico che ci ostiniamo ad accettare, alimentare e, grazie alla politica lungimirante (sarcasmo), salvare7 e assolvere.

Il bicameralismo paritario o il fatto di avere troppi senatori (che ci costano “troppo”) non bloccano il paese, non lo condannano all'immobilismo. Queste cose hanno a che fare con i meccanismi della democrazia e con i suoi costi (non mi riferisco a quelli economici8), che in ogni caso anche nelle più imperfette delle democrazie non sono mai più alti di quelli che si avrebbero rinunciandovi9.

Secondo quelli del sì questo “aneddoto”, tratto da Institutions politiques suisses, un simpatico manualetto pedagogico che in breve illustra il sistema politico svizzero10, dovrebbe insegnarci i pericoli del bicameralismo paritario e della lentezza della promulgazione delle leggi, tipica di tali sistemi… La Svizzera è ferma, immobile, nel pantano, insieme a questa Italietta che sa solo dire no, no, no…

En Suisse, le processus législatif peut prendre plusieurs années, voire des décennies: en 1945, le peuple a accepté un article constitutionnel11 prévoyant la mise en place d'une assurance-maternité. Celle-ci n'est entrée en vigueur qu'en 2005, soit 60 ans plus tard…

L'ossessione storica

Se c'è un tema nella storia politica italiana del dopoguerra che si ripropone quasi ossessivamente, è proprio quello della necessità delle riforme e dell'incapacità di attuarle.12

Se una riforma fa schifo, è meglio che questa capacità di attuarla venga a mancare…


  1. I piani nelle maniche “di Renzi” devono essere stati due per forza. Quello che era il piano B, da attuare nel caso di vittoria del no, è stato in pratica promosso a piano A, il piano principale, nel momento in cui si sono resi conto che la probabilità di vittoria del sì decresceva sempre più. Forse l'ex piano B gli sta riuscendo, forse avrà conseguenze molto negative, anche se non peggiori (sul lungo periodo) di una vittoria del sì: gli effetti sostanziali negativi del sì si sarebbero visti con il tempo, invece con la vittoria del no Renzi si è impegnato a creare quel clima fosco percepibile come “conseguenze negative del no”, come se gli eventi stessero precipitando; forse in questo modo si spera che chi deve, riavrà il controllo della palla (perdonate la metafora ludica). Purtroppo il pericolo scampato con il no lo si può dimostrare solo in un universo parallelo in cui il sì abbia vinto; in questo nostro universo la propaganda avrà spazio per dire che l'attuale “situazione difficile” è colpa del no. In futuro molte altre cose verranno interpretate alla luce di questo esito (“se avesse vinto il sì, signora mia… sapesse in che Italia migliore vivremmo!”) e gli “eroi del sì” proveranno a dire che loro ci avevano provato a far uscire l'Italia dal pantano… ¶Aggiornamento: su Facebook Renzi scrive: «Un giorno sarà chiaro che quella riforma serviva all'Italia, non al Governo e che non c'era nessuna deriva autoritaria ma solo l'occasione per risparmiare tempo e denaro evitando conflitti istituzionali.» Chiaro a cosa serviva la riforma nella mente del suo maggiore promotore, cioè il governo? Dovrebbe essere chiaro che l'intento di «risparmiare tempo e denaro evitando conflitti istituzionali» è una presa per il culo, visto che il tempo e il denaro perso (se è vero che è perso) per via dei «conflitti istituzionali» non è l'origine del “problema italiano”.

  2. Conferenza stampa tenuta quando ancora non c'erano i risultati definitivi. Personalmente vedo solo due osservazioni in grado di spiegare questa condotta in apparenza ridicola: la spettacolarizzazione (che è uno degli ingredienti della strategia comunicativa di Renzi) e l'intenzione di far percepire l'evento 〈vittoria del no〉 come grave (che necessita risposte rapide, schiette e coraggiose) e il momento solenne. Paragonatela ad una conferenza stampa straordinaria (a carattere d'urgenza) che un presidente di una nazione (un esempio a caso che non sia l'Italia: gli Stati Uniti…) indice in seguito a un evento straordinario, come una minaccia incombente ed inevitabile che richiede che il presidente informi la nazione e mostri che lui, il Presidente (P maiuscola), data la situazione (grave), prende sulle sue spalle le sue e altrui “responsabilità” e agisce in modo saggio e ponderato: lo rende necessario la circostanza serissima.

  3. Poiché siamo in una democrazia che non può imporre il diritto-dovere al voto, la terza opzione, quella dell'astensione, c'è sempre. La tesi che sto portando avanti è che in questo tipo di referendum l'astensione non è logica, e ideologicamente (penso agli anarchici) è una scelta che traballa — ma su questo punto non voglio discutere: penso che, in un quadro più ampio dove sia una scelta coerente con la propria storia, abbia un senso.

  4. Ho sentito qualcuno lamentarsi grossomodo così: ma che chiedono [essi!] a me? E io che ne so? Figlia dell'idea che il popolo non deve essere coinvolto in questioni “troppo complesse” per lui… È la Costituzione che prevede il referendum, nell'art. 138. Quindi questa convocazione alle urne è un regalino sia dei padri che hanno fatto la Costituzione, sia di almeno un quinto dei membri di una delle due camere. Tradotto significa che chi ha fatto questa riforma non ha avuto l'appoggio necessario ed è stato quindi possibile “accendere” uno dei meccanismi di protezione della Costituzione. Poiché la sovranità appartiene al popolo (art. 1), che piaccia o no l'ultima trincea contro le modifiche costituzionali che non hanno un ampio appoggio della rappresentanza democratica è proprio il popolo (al posto degli eletti che lo dovrebbero rappresentare), come è giusto e logico che sia in una democrazia.

  5. En passant, Brexit e Trump hanno stanato il pensiero élitario ottocentesco che alberga nel cuore di molti, sopratutto dei filoeuropeisti. Idee del genere fanno parte dello stesso framework volto a prevenire gli «eccessi di democrazia» — da quando abbiamo iniziato ad esportarla sotto la guida degli USA, è un bene che scarseggia e perciò va usato con parsimonia…

  6. Con il pareggio di bilancio in Costituzione (dettato dall'UE), qualcosina potrebbe entrarci… Comunque la riforma non faceva modifiche in tal senso, per cui… Per inciso il pareggio di bilancio non c'era ma è stato aggiunto, a ulteriore prova del fatto che se c'è convergenza politica di intenti, o come volete chiamarla, “piccole” (seppur devastanti) modifiche vengono fatte — il devastanti ve lo possono spiegare alcuni economisti, specialmente euroscettici.

  7. La solita formula: privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite.

  8. Il nuovo senato avrebbe fatto risparmiare qualcosa? Se puntiamo i riflettori solo e soltanto sul senato la risposta è sì, forse si sarebbe risparmiato del denaro. È tutto quello che va considerato? È questo davvero un “merito” di quella parte della riforma? Sappiamo che la politica può costarci di meno (sempre in termini economici) anche senza apportare modifiche alla Costituzione. Non è forse meglio iniziare da lì per il risparmio economico e concentrarsi solo e soltanto sui costi non economici dei cambiamenti che la riforma avrebbe fatto?

  9. In teoria un regime autoritario può far funzionare una nazione molto bene, ma è necessario che si verifichino delle condizioni particolari. Alcune che mi vengono in mente al volo: 1) chi è al potere è illuminato e agisce davvero ad esclusivo beneficio del popolo; 2) tutto il popolo, in qualunque intervallo di tempo, è convinto che chi è al potere agisce sempre nel modo giusto e sempre e soltanto nell'interesse del popolo, perciò obbedisce agli “editti” senza che questi debbano essere imposti con la forza; 3) non esistono mai minoranze o sottogruppi che rivendicano diritti specifici in contrasto con altre minoranze o sottogruppi; 4) non esistono mai minoranze o sottogruppi che percepiscono il loro benessere inferiore alle loro aspettative; 5) nessuno ambisce a raggiungere il potere al fine di imporre una sua visione della società e/o dell'economia, naturalmente con la pretesa che la sua visione migliorerebbe il benessere di tutti; 6) chi esercita il potere vive esattamente come chi non lo esercita (non ci sono privilegi che possano generare ambizioni di potere per risollevarsi da una situazione di scarso benessere effettivo o percepito)… 7) tutti sono sempre d'accordo con le scelte del regime, anche quelle relative ai rapporti della nazione con altre nazioni… Eccetera. Alcune delle «condizioni particolari» sono tali che, se non fossero verificate, spingerebbero a forme di ribellione al potere, e quindi il regime ad esercitare la sua autorità tramite l'uso della forza, che genererebbe altro malcontento che monterebbe e si propagherebbe, magari sobillato, fino alla rivoluzione. La rivoluzione porterebbe a… instaurare un altro regime, forse un po' diverso, che terrebbe fino alla successiva rivoluzione… E magari dopo diversi cicli si arriverebbe ad una qualche forma di democrazia.

  10. In Svizzera c'è il bicameralismo paritario (e pure negli Stati Uniti…) Ebbene sì, in Svizzera hanno due “camere”, il Consiglio nazionale e il Consiglio degli stati, con gli stessi identici poteri. La Svizzera è un paese “immobile” per questo motivo? Secondo me no… Di per sé il bicameralismo paritario non è il male, a dispetto di quello che ha dovuto sostenere chi ha voluto questa riforma. Il seguente risibile passaggio è preso da una pagina del sito bastaunsì (nell'URL c'è bicameralismo paritario, ma il titolo dell'articolo è “Perché il Sì può contrastare la disoccupazione giovanile”…): «il superamento del bicameralismo paritario e la maggiore stabilità dell’esecutivo permettono scelte più coraggiose, incisive, e rivolte al lungo termine: la disoccupazione non è una piaga che si sconfigge dovendo pensare principalmente alla prossima crisi di governo e alle beghe di palazzo.» (Enfasi nell'originale) Credete che la Svizzera (o gli Stati Uniti) abbandoneranno il bicameralismo paritario per fare «scelte più coraggiose, incisive, e rivolte al lungo termine», oppure per facilitare la sconfitta della «piaga» della disoccupazione?

  11. La Costituzione svizzera è flessibile. Per lo scopo di illustrare il punto è irrilevante; immaginate che si tratti di una legge ordinaria italiana.

  12. Paul Ginsborg, “Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi”.

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