sabato 5 luglio 2014

Politica e lingua inglese (Orwell)

Traduco un passaggio dal testo di “Politics and the English Language” di George Orwell. Come al solito, la traduzione è mia, brutta, magari fuorviante… meglio che leggiate l'originale se potete… Enfasi aggiunge da me.

[…]

Parole senza significato

In certi tipi di scrittura, particolarmente nella critica letteraria e artistica, è normale imbattersi in lunghi passaggi che sono quasi totalmente privi di significato1. Parole come romantico, plastico, valori, umano, morto, sentimentale, naturale, vitalità, per come vengono usati nella critica d'arte, sono strettamente vuote2, nel senso che non solo non “puntano” alcun oggetto rilevabile, ma è anche difficile che il lettore si aspetti ciò da esse.3 Quando un critico scrive “L'eccezionale caratteristica del lavoro del signor X è la sua qualità vivente”, e un altro scrive “La cosa che colpisce immediatamente del lavoro del signor X è la sua peculiare atarassia4”, il lettore accetta questa come una semplice differenza di opinione. Se fossero usate parole come nero e bianco, invece delle parole gergali morto e vivo, il lettore si accorgerebbe immediatamente che il linguaggio è stato usato in un modo non appropriato.

Molte parole della politica sono usate impropriamente in una maniera simile. La parola fascismo non ha ora5 significato, eccetto se si intende “qualcosa di non desiderabile”. Le parole democrazia, socialismo, libertà, patriottico, realistico, giustizia, hanno ciascuna diversi significati che non possono essere conciliati l'uno con l'altro. Nel caso di una parola come democrazia, non solo non c'è una definizione su cui si è d'accordo, ma il tentativo di darne una trova resistenza da tutte le parti. È un sentire quasi universale che quando chiamiamo un paese democratico, lo stiamo elogiando: di conseguenza, i difensori di ogni tipo di regime affermano che il loro è una democrazia, e temono di dover smettere di usare tale parola nel caso in cui si desse una precisa definizione. Parole di questo tipo sono spesso usate consapevolmente in un modo disonesto. Cioè, la persona che le usa ha la sua definizione privata, ma permette che i suoi ascoltatori pensino che abbia voluto intendere qualcosa di molto diverso.

Frasi come “il maresciallo Pétain era un vero patriota”, “la stampa sovietica è la più libera del mondo”, “la chiesa cattolica si oppone alle persecuzioni”, sono quasi sempre dette con l'intento di ingannare. Altre parole usate con significati variabili e spesso più o meno disonestamente, sono: classe, totalitario, scienza, progressista, borghesia reazionaria, uguaglianza.

[…]


Mentre vi invito alla lettura integrale dell'originale (o di traduzioni ben fatte, cioè non rustiche), sempre molto interessante e che muove a riflessioni di vario tipo, vi lascio con sei regole che Orwell suggerisce. A mio immodesto avviso necessitano di un'esegesi appropriata — ma la lettura dell'intero saggio dovrebbe chiarire le motivazioni dietro tali regole.

  1. Non usare mai metafore, similitudini o altre figure retoriche che sei abituato a leggere nella stampa.
  2. Non usare mai una parola lunga quando una breve funzionerebbe uguale.
  3. Se è possibile togliere una parola, togli quella parola.
  4. Non usare la diatesi passiva laddove puoi usare quella attiva.
  5. Non usare mai una frase straniera, una parola scientifica o gergale se ti viene in mente un equivalente in uso quotidiano nella tua lingua.6
  6. Infrangi una qualunque di queste regole prima di dire qualcosa di barbaro.

  1. Esempio: “Comfort's catholicity of perception and image, strangely Whitmanesque in range, almost the exact opposite in aesthetic compulsion, continues to evoke that trembling atmospheric accumulative hinting at a cruel, an inexorably serene timelessness...Wrey Gardiner scores by aiming at simple bulls-eyes with precision. Only they are not so simple, and through this contented sadness runs more than the surface bittersweet of resignation.” (Poesia trimestrale) [N.d.A.]

  2. Meaningless, prive di significato. Traduco così o con l'aggettivo “vuote”. [N.d.T.]

  3. [They, the words] are hardly even expected to do so by the reader. [N.d.T]

  4. Its peculiar deadness. Deadness: lo stato in cui si è morti. Deadness: la qualità di essere non-responsivo; che non reagisce; come qualità delle persone, è caratterizzato dall'incapacità di rispondere rapidamente o con trasporto emotivo alle persone o agli eventi […] — la proprietà fisica di qualcosa che ha perso la sua elasticità […] — la proprietà inanimata di qualcosa che è morto […]. Per la scelta, sicuramente criticabile, del termine atarassia mi sono ispirato all'accezione «incapacità di rispondere […] con trasporto emotivo alle persone o agli eventi», giacché mi sembra che, con un piccolo sforzo e cambiando volontà con capacità, si possa sovrapporre alla definizione di atarassia. Credo che il termine deadness però sia più ampio, mentre scegliendo atarassia riduco le possibilità interpretative. [N.d.T.]

  5. Il saggio è stato scritto nel 1946. [N.d.T.]

  6. L'originale specifica “inglese”, io l'ho generalizzato. [N.d.T.]

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