domenica 22 giugno 2014

Intellettuali?

Chi è l'intellettuale oggi?

L'essere “intellettuali” oggi non ha a che fare realmente con l'intelligenza (qualunque cosa sia) e la cultura, né con il primato della ragione e del ragionamento.

L'essere intellettuali (cioè essere considerati tali) è una condizione derivante dalla posizione. L'“intellettuale” è “famoso”, è un personaggio pubblico, e va nei talk show, è ospite in rubriche di telegiornali o trasmissioni di approfondimento, scrive libri (abbastanza venduti, come minimo) o articoli per un giornale, partecipa a dibattiti pubblici e a conferenze, organizza incontri, sale su un palco, ecc. Nessuno che non abbia fatto almeno una di queste cose potrà mai essere considerato “intellettuale”.

La condizione dell'essere “intellettuali” è un riconoscimento pubblico e quindi senza un grande pubblico1 non c'è “intellettuale”. La differenza la fa molto la notorietà, la dimensione pubblica della persona dietro la maschera dell'intellettuale, e poco l'effettivo contributo dell'intellettuale a specifici temi2, al sapere, alla conoscenza…

Qual è il ruolo dell'intellettuale oggi?

Al contrario di quello che si potrebbe istintivamente pensare, l'intellettuale (il tipo di intellettuale che sto considerando e che è quello che va per la maggiore3) non svolge alcuna funzione positiva.

L'intellettuale divide il mondo in due: quelli che capiscono, cioè che sono d'accordo con lui (è questo il vero criterio di giudizio sottinteso), e quelli che non capiscono, cioè che non sono d'accordo con lui4.

La distinzione è del tutto fenomenologica: se non sei d'accordo, è perché non capisci. Se sei d'accordo, è perché capisci: è inutile qualunque tipo di argomentazione.5

L'intenzione dell'intellettuale non è quella di far capire, insegnare, spiegare. Al contrario, l'unico suo scopo è ribadire la sua (presunta) superiorità e la superiorità delle sue idee, della sua interpretazione della realtà; deve monopolizzare il dibattito, in modo da rimanere l'unico padrone delle regole (che detta) e decidere i contenuti e la loro lettura.

Non è previsto alcun confronto alla pari, se non, forse, con altri intellettuali6 — del resto, per l'intellettuale di questo tipo, il pubblico è feccia, tranne naturalmente quando riconosce la sua auctoritas e si limita ad accettare e assorbire tesi e idee proposte dall'intellettuale.

Con una metafora: quelli che non sono d'accordo con l'intellettuale sono messi in fondo a un pozzo (di merda) e se qualcuno tenta di risalire il pozzo, il comportamento dell'intellettuale è quello di gettare merda7 per farli ricadere giù (e lasciarli maleodoranti e sporchi); è quello di dare martellate sulle dita che si aggrappano al bordo del pozzo8.

Tutto questo perché non sono assolutamente in discussione le idee dell'intellettuale: le sue idee e le sue opinioni non possono avere opposizione sensata perché sono quelle giuste. Il suo sistema di valori, che è quello dominante della cultura a cui l'intellettuale appartiene9, è quello giusto e soprattutto è l'unico possibile.

Dunque, il ruolo dell'intellettuale è anche quello di preservare questo sistema di valori, evitare che muti e, se c'è stata una deviazione o c'è il rischio di una deviazione, il suo compito è quello di riportarlo “sul sentiero giusto” — in questo senso, l'intellettuale è uno strumento nelle mani di forze conservatrici.

Molti intellettuali (specie quelli considerati “di sinistra”) si riempono la bocca con il vocabolario della rivoluzione, della lotta per i diritti sempre più minacciati, per la giustizia sociale, e via dicendo. Sono inganni e autoinganni: il ruolo dell'intellettuale è perfettamente funzionale all'ordine di cose presente; anzi, è stato proprio l'atteggiamento dell'intellettuale qui schematizzato a “generare” il presente — mentre la narrazione, dal punto di vista dell'intellettuale, è sempre che la colpa di qualunque situazione a loro non gradita sia di quelli cattivi, cioè quelli che loro hanno infilato, meritatamente, nel pozzo.

Intellettualismo ed élitismo sono connessi, o forse addirittura facce diverse di una stessa forma mentis che è, oggi come oggi, il vero pericolo per la democrazia sul piano politico, e per la società in senso più ampio10.


  1. Il pubblico deve essere grande, per essere un “intellettuale” acclamato. Altrimenti si può essere un “intellettuale” di nicchia, conosciuto da pochi (relativamente), ma per forza all'interno di una cerchia “che conta” — o al di sopra di una soglia critica. Un tuo amico, un tuo parente, può anche considerarti un “intellettuale”, ma non per questo sarai riconosciuto tale da chi si dovesse confrontare in futuro con te. Chi deve giudicarti, guarderà intorno a sé per capire se è il caso di considerarti intellettuale o meno, e non trovando conferme (fondamentalmente dai media o dal gruppo di riferimento), deciderà che non lo sei, a prescindere dal tuo grado di istruzione e cultura, da ciò che stai dicendo e così via.

  2. Anche in questo caso, come nel caso degli esperti da talk show, può accadere che l'“intellettuale”, magari per nulla eclettico, si ritrovi a parlare o venga invitato a parlare di temi su cui non ha una specifica competenza e che la sua opinione venga considerata autorevole, proprio perché riconosciuto come “intellettuale”, o persona la cui opinione è degna di considerazione; quando è invitato ad esprimersi su un argomento, lo è come fonte competente, nonostante non lo sia. In effetti la figura dell'“intellettuale” e dell'“esperto” possono accavallarsi.

  3. Fortunatamente ci sono altri tipi di intellettuali, ma penso che in Italia scarseggino in modo particolare.

  4. Non è il solo tipo di dualismo che affligge l'intellettuale e di conseguenza molte altre menti. Lo stesso tipo di “argomento” si ritrova spessissimo nei dialoghi, specie se frettolosi.

  5. Essere d'accordo o meno può riguardare p.es. il fatto di non accettare delle premesse che implicitamente vengono considerate corrette. Dall'accettazione di quelle premesse può seguire un ragionamento valido, ma se non si accettano le premesse (e spesso non c'è alcun motivo particolare di farlo), automaticamente le conclusioni a cui giunge l'intellettuale possono essere messe in discussione.

  6. Qui il discorso si complica: è più facile considerando solo il rapporto dell'intellettuale con il pubblico esposto alle idee dell'intellettuale medesimo e non le relazioni tra intellettuali. L'impressione è che, nel caso di divergenze tra intellettuali, questi si evitino con cortesia (almeno negli spazi pubblici) o si limitino a scaramucce che non alterano di una virgola le posizioni reciproche e di conseguenza le posizioni dei rispettivi “seguaci”.

  7. Fuor di metafora, questo in concreto si realizza riducendo l'altro a specifiche categorie “subumane” (queste categorie stesse sono una creazione delle élite intellettuali e fanno parte della loro eredità).

  8. Questo infelice atteggiamento “polarizza” le posizioni avverse e rende impossibile ogni forma di dialogo: è l'intellettuale per primo che lo rifiuta, totalmente incapace di sintesi e sincretismo ma soprattutto ottusamente incline a ignorare altre possibilità.

  9. Probabilmente è una semplificazione. Ma per il discorso in oggetto, va più che bene. L'intellettuale è sia soggetto che oggetto, come tutti (ma non con il peso di tutti, considerando i mass media e il rapporto che l'intellettuale ha con essi e con i mezzi di diffusione della “cultura”.

  10. Per ora lascio così queste asserzioni. Su come l'élitismo sia una minaccia per la democrazia ho già scritto qualcosa. L'atteggiamento degli intellettuali è quello di preservare intanto il loro status quo, cioè di non perdere questa qualifica e pertanto di essere tra coloro che hanno le “carte in regole” per imporre certe interpretazioni della realtà sociopolitica al posto di altre, che sono quelle “sbagliate”. L'intellettuale mira al consenso per subordinazione e persuasione; è anche uno strumento della propaganda. L'intellettuale in qualche modo avvelena la democrazia riducendola a una vuota riproposizione del “main stream” culturale che rappresenta; concima il terreno del sospetto per la partecipazione democratica (tranne quella che coincide perfettamente con le sue aspettative) che, infatti, loro immaginano più facilmente mediata proprio dagli intellettuali, fino a ridurla ad una aristocrazia nella sostanza. (Gli intellettuali “di sinistra” continuano ad usare degli stereotipi e dei simboli “potenti” per creare l'illusione di centralità del popolo; ma è un popolo idealizzato, proiezione del loro pensiero, e non ha nulla a che fare con la realtà, né con quella realizzata, né con quella realizzabile. L'effetto è che da una parte li trovi in piazza a dar man forte a certe istanze popolari, dall'altra le depotenziano alimentando quel sospetto per le masse acefale che, sedimentandosi nella cultura, lascia ampio spazio a forze élitiste — che poi spesso sono quelle che creano le condizioni per manifestazioni di piazza a cui partecipano questo tipo di intellettuali… e così via)

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