lunedì 23 giugno 2014

Buzz-buzzerio

Domenico Buzzerio, il bempensante del precedente post, il primo della serie delle ornitoteche, ci tiene che io pubblichi (!) la sua risposta.

Io lo faccio (nel senso che ho messo il link), ma non credere che sia utile, perché non stai dicendo nulla che controargomenti i miei argomenti: stai “rispondendo” ad altre cose — o forse stai facendo una specie di monologo — riproponendo gli stessi errori già fatti nel nostro scambio di tweet, quegli stessi errori che ho già chiarito lungamente e discorsivamente nel precedente post.

Fammi essere più sintetico (si fa per dire: non è una delle mie doti) e spero che ciò ti possa chiarire un po' le idee.

L'argomento non riguarda le affermazioni del giornalista. Non si sta discutendo sul fatto che siano necessariamente vere o necessariamente false. Non si sta discutendo delle conseguenze di quelle affermazioni sul pubblico sprovveduto. Non si sta discutendo di cosa è giusto che faccia un giornalista, quali “prove” deve portare a sostegno delle sue affermazioni o quali affermazioni siano opportune e quali no (!). Non si sta discutendo delle motivazioni del giornalista, che può essere anche la reincarnazione di Hitler.

Non si sta discutendo di cause (colpa nostra se si ammalano, li stipiamo nei CIE, ecc.) o soluzioni (per evitare che le migrazioni causino ipotetici problemi sanitari).

Mettiamola così: non si sta parlando di immigrazione e di immigrati. Così magari, senza un argomento ad alto tasso di emotività irrazionale, è più facile.

Di che si stava parlando allora? Cerco di schematizzarlo, forse risulterà più chiaro il discorso iniziale.

P: Se si verifica Y, è possibile che si verifichi X.

A: “X. Infatti Y”

G0: ”Non si può dire che P” / “P è falso”

G1: “A è falso”

Q: Y. X. XrY.

Indico con s(A) il soggetto che afferma A.

P è una conoscenza base. È quello che ci dice la scienza: nel caso si verifichi Y, è possibile che accada X. P rappresenta una “associazione” (esprimibile in termini di probabilità) tra Y e X.

G0 nega che ci sia la relazione (espressa nei termini di P) tra Y e X; ciò contraddice P, cioè la nostra conoscenza base. Quindi G0 è falsa, cioè è falso che “non si può dire che se si verifica Y, è possibile che si verifichi X”. Questo perché abbiamo detto che P è vera.

Q è un “risultato” di qualche tipo di indagine scientifica: si constata che in uno specifico “spazio“ Y “vale”, si constata che in uno “spazio” connesso con l'altro X “vale”, si fa uno studio e si scopre che c'è effettivamente una correlazione tra X e Y, e ciò l'ho scritto con XrY. Attenzione: questa non è una conoscenza universale, cioè XrY non è sempre vero, ma è vero solo nel caso in esame della specifica indagine.

Ora viene la parte interessante, che riguarda la conoscenza su Q dei soggetti interessati che, per sostenere le loro affermazioni, hanno a che fare con tale Q; precisamente si tratta di s(A) e s(G1).

Per poter affermare A, s(A) sta implicitamente sostenendo che Q sia qualcosa di accertato, cioè che sia vero XrY — e naturalmente per poterlo affermare Q dovrebbe far parte delle conoscenze di A. Chiaramente sta sostenendo anche un'altra cosa che fa parte di Q, cioè che X — se hai capito cosa rappresentano le lettere, avrai capito da te che Y è un fatto della realtà, dunque lo consideriamo vero; se è vero XrY, per come è stato ricavato XrY, deve essere vero anche X.

Il soggetto s(G1) si ritrova a “parlare” dell'affermazione A e sostiene che sia falsa. Ma per poter dire che è falsa, deve sostenere che sia falso XrY — e per poterlo sostenere Q deve essere tra le sue conoscenze1. Poiché XrY sarebbe automaticamente falsa se è falso X, s(G1) potrebbe anche sostenere che A è falsa perché è falsa X. Ma, di nuovo, per poter dire che X è falso, deve avere una conoscenza di X.

Probabilmente, nessuno dei due soggetti s(A) e s(G1) può affermare ciò che afferma. Perché probabilmente? Perché il SO (Soggetto Osservante) che li “valuta” non sa se s(A) afferma ciò che afferma perché conosce Q e sa che XrY2, né sa, d'altra parte, se s(G1) nega A perché conosce Q e sa che ¬XrY (e come detto gli basta sapere che ¬X). Nessuno dei due dà “segni” di possedere la conoscenza Q.

Il SO (Soggetto Osservante) rigetta (con riserva, perché lui stesso non ha la conoscenza Q) A — e, tornando un attimo alla “circostanza”, considera il resto dell'articolo per quello che è3. Ma il SO è costretto a rigettare, in pratica per lo stesso motivo, pure G1 — e naturalmente, non c'è nemmeno bisogno di dirlo, anche G0.

Il SO è ancora nella condizione in cui ignora se s(A) possiede o meno la conoscenza di Q, se tale conoscenza esista in generale, se ci dice che XrY, e se quindi A può essere sostenuta; il SO è invece adesso confidente del fatto che s(G1) non possiede la conoscenza Q — se così non fosse, l'avrebbe manifestata sciogliendo ogni nodo4 — e si basa invece su “ragionamenti” di questo tipo:

  • s(A) è R5, dunque A è falsa.
  • Tutti gli E che sono R mentono affermando XrY; s(A) è R; dunque s(A) mente affermando XrY.6
  • A è falsa, perché s(A) non sa Q7
  • A è falsa, perché affermare P fa schifo
  • A è falsa, perché affermare A fa schifo
  • A è falsa, perché non può essere XrY8
  • A è falsa, perché non è vero X (dunque non può essere vero XrY)9
  • Se tu non sai Q, allora A è falsa
  • Se Q non esiste, allora A è falsa10
  • A è falsa, perché è pericoloso affermarlo
  • A è falsa, perché gli interessati non possono smentire che sia vera

E così via.

Ora questo puoi chiamarlo arrampicarsi sugli specchi; puoi insistere (come mi sembra che tu faccia nel tuo penultimo periodo) a pensare che sia rilevante la xenofobia dell'autore e che io stia “difendendolo” da tale accusa. Questo non connota me come arrampicatore di specchi; piuttosto connota te in qualche altro modo.

Non penso che sia utile continuare: la comunicazione, quando non è insegnamento e apprendimento, necessita di un livello culturale comparabile e tale da renderla possibile. Senza questo presupposto, non è comunicazione: tu stai facendo i tuoi discorsi, e io i miei.


  1. Una sottigliezza: se non si è compiuto alcuno studio Q, tutti brancoliamo nel buio e non possiamo affermare né negare XrY. Qui do per scontato che tale studio sia stato fatto, e quindi sto “investigando” il caso in cui esista una “conoscenza scientifica” certa in proposito; ma che esista non vuol dire che tale conoscenza scientifica sia tra le conoscenza in possesso dei soggetti che fanno affermazioni che necessitano di tale conoscenza — e questo è un punto cruciale.

  2. Come detto, se esiste tale conoscenza scientifica Q che ha concluso che XrY, allora deve essere anche X, che è ciò che afferma s(A).

  3. Una accusa allo stato assente, alla politica fumosa, ecc. Il buonismo, l'ho spiegato più volte signor Buzzerio (bempensante, che è diverso da perbenista), è fare bei discorsi “buoni” e adatti ai bempensanti (grazie per questo, siete forti, così si fa, in alto i cuori, solidarietà, bisogna aiutare ecc.) ma poi, nei fatti, voltare le spalle e non fare ciò che serve per non rendere impossibile la messa in pratica di tali buoni principi — dunque è solo retorica, come dice l'articolo. Ribadisco pure questo: non so se l'accusa sia totalmente infondanta o meno: dico solo che è uno degli ingredienti centrali dell'articolo. Rigettarlo o meno apre un'altra porta ed è fuori tema. … «Non possiamo saperlo», ma possiamo dedurlo dall'articolo stesso, riservandoci sempre il diritto di dire che “è probabile che abbia voluto intendere ciò”: l'articolo parla dell'inizio (la parte fischiata) del discorso della Boldrini, «la solita melassa buonista, ringraziando i siciliani per il loro sacrificio e senso di accoglienza». Perfettamente in linea con l'aspettativa quando si parla di retorica buonista, quindi mi sembra una deduzione ragionevole.

  4. A quel punto Q sarebbe diventata una conoscenza condivisa e si sarebbe potuto dire che “A è falso, perché Q conferma che ¬XrY” (e naturalmente si sarebbe d'accordo su ciò proprio perché Q è conoscenza condivisa ed ora nota ad entrambi).

  5. R è una qualche qualità negativa.

  6. Che XrY sia vero o falso non dipende dalle affermazioni che s(A) fa su XrY o dal perché fa quelle affermazioni, ma solo da quanto ha stabilito la conoscenza Q. Per esempio: «tutte le persone che sono venditori di ombrelli mentono affermando che piove; lui è un venditore di ombrelli; dunque lui mente affermando che piove». Se piove o meno è indipendente da quanto affermato.

  7. Questo implica «io so che s(A) non sa Q». Inoltre, non è il fatto che s(A) conosca o meno Q (o che menta sapendo di mentire) che determina se A è vera o falsa.

  8. Che XrY non possa essere vera o 1) è la negazione di P — che però non esclude XrY e quindi non va bene; o 2) presuppone implicitamente la conoscenza di Q: io so Q, cioè so che dice ¬XrY.

  9. Questo presuppone comunque la conoscenza Q: per poter affermare o negare X, bisogna sapere se X è vero o meno, e tale conoscenza è, di nuovo, contenuta in Q. E, di nuovo, Buzzerio non dimostra di possedere tale conoscenza.

  10. Cioè, se non è stato fatto alcuno studio e rilevato alcun dato per fare tale studio che confermi (o smentisca) A, allora A è automaticamente falsa.

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