sabato 18 gennaio 2014

The Butler


Il film parla in sostanza dell'emancipazione dei neri attraverso la vita del protagonista e della sua famiglia. Gli eventi accadono attorno a lui (Cecil Gains), che ne è diretto o indiretto testimone e in fin dei conti anche artefice, a suo modo.

Purtroppo il film risulta un po' prolisso, a tratti persino noioso e un po' patetico, a tratti troppo autocompiaciuto, e infine intriso di troppa retorica e luoghi comuni tanto cari agli statunitensi e alla loro storia (romanzata).

I due capisaldi degli stereotipi passati e recentissimi sono ben rappresentati da J.F. Kennedy, il “presidente buono” che, si lascia intendere, più di tutti avrebbe potuto essere la svolta per i problemi razziali della nazione, e Obama e il suo Yes, we can, che viene venduto come dimostrazione del fatto che negli Stati Uniti tutto è possibile, persino avere un presidente nero —la riflessione di Cecil Gains, ormai vecchio, stanco e naturalmente in pensione, in una delle sequenze finali in cui viene mostrato insieme alla moglie in un classico patio, con bandierine e spillette elettorali, a tifare per il candidato nero.

Gli altri presidenti pure sono rappresentati come la mitologia “classica” statunitense li disegna, sia nei loro pregi che nei loro difetti.

Naturalmente non poteva mancare il momento della rivalsa: quello in cui Cecil Gains fa valere le sue ragioni (grazie al potere superiore del presidente in carica), e quelle della sua categoria, come se fosse una specie di sindacalista che rivendica i diritti della sua classe, per quanto riguarda lo stipendio dei dipendenti neri alla Casa Bianca, rispetto a quello dei dipendenti bianchi.

Nel complesso comunque un film interessante e intenso, condito anche da inserti storici che testimoniano momenti bui di una nazione che, per la sua stessa storia, ben rappresenta contraddizioni ed evoluzioni dei rapporti tra modernità e progresso (materiale e politico) e, nella fattispecie, discriminazioni razziali —o, in generale, cultura e società.

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