domenica 1 settembre 2013

Quel sapor medio orientale

Spero che siano in pochi a credere nella retorica buonista che vorrebbe vendere la minaccia di attacco alla Siria come un atto necessario per far fronte a una crisi umanitaria scatenata dall'uso di armi chimiche1 con conseguente morte di un migliaio fra donne e bambini (e supponiamo anche uomini, ma fa più effetto sottolineare altre vittime).

Il premio Nobel per la pace, nonché capo della nazione più armata, militarmente progredita e belligerante del pianeta, Obama, ha in sostanza ribadito quello che osservatori intellettualmente onesti come Chomsky già hanno rivelato da tempo: gli USA si arrogano il diritto di intervenire come e quando vogliono, anche senza il consenso internazionale, se è nel loro interesse farlo.

Chiaramente sarebbe meglio farlo con l'approvazione dell'ONU, ma se non ci dovesse essere non è un problema: un modo sottile per far capire chi comanda, chi è il pezzo grosso, e quanto peso hanno le decisioni di un organo sovranazionale che non faccia gli interessi degli Stati Uniti d'America.

Pare che Obama abbia introdotto una novità però, riducendo il voto del Congresso USA a un atto formale ininfluente. Questa crisi di democrazia interna ci interessa solo nella misura in cui è indice di quanto grandi siano gli interessi delle élite: i poteri che sono dietro Obama si vogliono assicurare la massima libertà di scelta e non vogliono essere intralciati nei loro piani dai tradizionali meccanismi democratici. Probabilmente hanno valutato che il consenso interno alla guerra sarebbe stato troppo basso, al limite insufficiente, per poter finalizzare l'attacco. Ed evidentemente la possibilità di rinuciare è per loro inaccettabile.

Cosa c'è in gioco dunque?

In generale e in breve il solito: il controllo delle infrastrutture energetiche globali e l'economia ad esse collegata. Sto parlando di petrolio, gas, oleodotti, del mercato (finanziario) del barile e del dominio/influenza sugli stati che sono direttamente o indirettamente coinvolti.


Non bisogna pensare a questi episodi bellici come a capitoli a sé stanti che completano un piano: si tratta di un piano a lungo termine, ventennale o giù di lì, probabilmente iniziato proprio intorno al 2000; ed ha un respiro globale: ha già ridisegnando il quadro geopolitico e riformulato i rapporti di forza tra le varie potenze in gioco (non va dimenticato che ci sono altri giocatori e l'analisi è estremamente difficile proprio perché il loro peso non è comunque trascurabile).

Dal punto di vista umano, un crudele disastro. Da un punto di vista geopolitico e cinico mi sembra un fallimento delle controstrategie del blocco formato dai paesi che senza dubbio gradirebbero ridurre lo strapotere degli USA e che al limite ambiscono a sostituirne il ruolo sulla scacchiera mondiale. Riconosciuta la sconfitta a quegli stati non resta che diventare, quando non lo sono già, dei servi ovvero, secondo il vocabolario corrente, degli alleati.

Le mappe seguenti suggeriscono alcuni punti di vista con cui guardare i fatti recenti, quelli meno recenti e quelli imminenti. Trarre una chiara narrazione olistica da informazioni frammentarie e parziali è arduo. Ma alla fine il primo passo è solo quello di non credere alla retorica buonista, all'esportazione di democrazia, alle guerre per la pace e a questo tipo di interventi sedicenti umanitari, e di intuire che c'è un disegno poco interessato ai danni collaterali. Il resto, piano piano, sarà la storia a renderlo più chiaro (forse).
Nella mappa precedente in verde è visibile parte del gasdotto Arab Gas Pipeline (suggerisco la lettura della voce in inglese, più ricca di informazioni) e sono marchiati alcuni stati (il perché dovrebbe essere chiaro dalla conoscenza anche superficiale degli accadimenti recenti nell'area): Afghanistan, Iraq, Libano; Egitto, Libia; Siria; Iran. Israele (non è resa visibile la striscia di Gaza e non è segnato il West Bank), non è contrassegnato ma appare un cardine importante nella mappa. Per quanto riguarda il Sudan, è marcato perché dovrebbe essere parte del piano “7 paesi in 5 anni”, che a quanto pare sta procedendo.

La mappa seguente mostra alcune reti di gasdotti e oleodotti; alcuni paesi sono segnati con delle spade incrociate e anche in questo caso il perché dovrebbe essere chiaro.
Questo sistema energetico alimenta e interessa diversi stati, ovviamente; per esempio secondo le proiezioni della seguente immagine la Cina dovrebbe essere molto preoccupata di quanto accade nell'area e sicuramente guarda con interesse gli sviluppi della faccenda; ma potrebbe avere altre leve e carte da giocare, per cui non è possibile dire che posizione assumerà o cosa farà come conseguenza dell'attacco americano; con i bulletti fuori controllo la diplomazia non serve a molto. (Divertitevi anche con questo articolo dove il mainstream mischia la posizione della Cina riguardo l'attacco USA in Siria con faccende di stupro e di esplosivi, condendo con lucide osservazioni come «In China, compensation disputes over the acquisition of village land often end in violence with villagers resisting forcible evictions and demolition»!)
È interessante notare come l'Arab Gas Pipeline, proseguendo verso Aleppo e poi a Kilis (Turchia), da qui potrebbe connettersi alla griglia turca per alimentarla con gas che passa per la Siria; e potrebbe connettersi pure al futuro condotto Nabucco. Secondo la wikipedia in inglese, la Turchia aveva previsto di comprare 4 miliardi di m³/anno dall'Arab gas Pipeline. Un governo siriano controllato dagli USA che ascendente potrà avere sugli accordi futuri?
Questa mappa mostra più chiaramente come l'Arab Gas Pipeline c'entri qualcosa con il sistema di condotte pianificate principalmente a uso e consumo russo ed europeo. Che sia un modo per gli USA di avere la sua fetta di ingerenza in questa evoluzione energetica dell'Europa? La mappa dovrebbe anche, unita alle altre, dare una misura delle proporzioni degli interessi energetici in gioco.

Intanto Iran e Pakistan procedono con la realizzazione del loro gasdotto, ma farà in tempo l'Iran o sarà colpita in qualche modo (anche economico) prima del suo completamento?
L'Iran è infatti nel piano di attacco dei 7 in 5 anni; e nel vortice ci sono altri paesi, come la Somalia. Cosa accadrà nei prossimi anni nel Grande Medio Oriente?
(Ma nel frattempo non dimentichiamoci che una superpotenza globale non si fossilizza su una sola area del pianeta e su una sola strategia, bensì i suoi interessi e le sue azioni sono ramificati e, appunto, globali).

Un paio di link non strettamente pertinenti ma si tratta di letture che rendono bene l'idea di quanta scienza si applichi in tattiche e strategie guerresche. Il filone “lobby delle armi” (specie negli USA) è comunque sempre dietro le quinte e ha il suo grande peso nelle scelte di politica estera americana.
Nota sulle immagini: qualcuna è presa da wikimedia, per altre purtroppo, essendo state collezionate in diversi momenti con la sbadataggine di non segnarmi il sito o documento d'origine, non sono in grado con facilità di risalire alla fonte, se non è esplicitata nell'immagine stessa.

Note.

1 Da notare che la Siria (insieme ad altri come Egitto, Corea del Nord, Sudan) non ha firmato la Convenzione sulle armi chimiche, e che comunque non risulta tra i paesi che notoriamente hanno installazioni per la loro produzione (in questo elenco, insieme all'Iran e all'Iraq, figurano anche Francia, Cina, Russia, Inghilterra e Stati Uniti). A questo punto è necessario riflettere su cosa significhi firmare una convenzione del genere e cosa vuol dire non firmarla (e non ratificarla), senza dimenticare che stiamo parlando sempre di uno stato sovrano che, come gli Stati Uniti, vorrebbe arrogarsi il diritto di decidere cosa è meglio per se stesso. Entrambe le opzioni devono perciò essere permesse, altrimenti bisognerebbe imporlo e la firma sarebbe una ridicola farsa. Posto che le armi (qualunque esse siano) non sono state usate fuori dai confini nazionali, e che all'interno di tale paese si tratta di armi lecite, cavalcare l'onda della paura chimica non dovrebbe dare alcun pretesto, dal punto di vista del diritto internazionale, per un intervento militare. Dunque non risulta un'aggressione a un paese limitrofo e l'uso di armi chimiche non è legalmente bandito in quell'area, pertanto un intervento militare sarebbe (di nuovo!) una violazione del diritto internazionale, e di tante belle parole pronunciate nel tempo.
Un'altra riflessione va fatta poi su quali armi vengano considerate chimiche e bandite dalla convenzioni e quali no: è sufficiente cambiare qualche definizione (o aggirarla producendo un certo tipo di agente chimico invece di un altro) per renderne possibile l'uso da parte dei saggi e buoni: è stato così per esempio a Falluja, dove gli "americani" si sono difesi dall'accusa di aver usato armi chimiche (il “fosforo bianco”) proprio facendo notare che tale arma non è tra quelle classificate come armi chimiche dalla convenzione che gli USA hanno firmato e ratificato; quindi tutto a posto, potevano usarlo. Fatta la legge, trovato l'inganno, si dice. ^Torna su^

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