sabato 6 luglio 2013

Politica, ovvero il nero (ovvero il blu) ovvero il rosso

Ecco un altro recupero delle e-mail che ero solito mandare, come spiegato brevemente nella prima che ho riproposto. Qui metto anche l'intestazione con cui le riproponevo quando erano ospitate da Capo Nord. Questa è datata 2005-10-10 (10 ottobre 2005)

Nota: non necessariamente mi rispecchio oggi in tutte le parole e i pensieri espressi da quando sono nato.


Questa è una delle mie vecchie e-mail messe in HTML per questo sito, grazie a chi le ha custodite!

Gli italiagrammi di diverse trasmissioni si tingono di rosso, e qua e là qualche regione, poche regioni, resistono al blu (blu perché il nero non è un bel colore politico).

A sorpresa Berlusconi, liftato e rinfoltito, si presenta a Ballarò, trasmissione affatto neutrale e accetta un confronto diretto, se così si può chiamare, con gli avversare vincitori. Il conduttore Floris cita di passaggio, nel contesto, un paio di nomi scomodi... Biagi, Santoro...

Gad Lerner all'Infedele, senza l'illustre ospite ma spinto dalle punzecchiature di qualche mezza insinuazione di un ospite cita l'intervista di Luttazzi a Travaglio (per respingere una eventuale accusa di uso fazioso della trasmissione).

Nel frattempo, il Papa è morto, dopo quasi 27 anni di pontificato. Ad una trasmissione su Canale Italia il pubblico può internevenire da casa; il numero di telefono è del nord, le voci pure. Una signora si chiede sconcertata chi paga. Un signore prega Karol affinché da lassù impedisca che il comunismo e Prodi vadano al governo.

Intanto Berlusca seduto tranquillo sulle scomode poltrone di cartone di Ballarò sorride. Non riesce a trovare con chiarezza la strada verso parole che diano una giustificazione alla sconfitta. Negare sempre, e tutto, sembra la sua strategia principale: l'Italia va bene, non ci sono colpe, vincerò le politiche del 2006.

Il cane da guardia Fede non ha perso occasione per dire, in uno di quegli spettacolini che qualcuno definisce telegiornali, che con Berlusconi si vince, senza Berlusconi, si perde.

L'intervento più divertente è l'affermazione del premier che le televisioni non possono fare la differenza perché sono aziende che cercano il profitto, ovvero spettatori, e quindi devono catturare anche gli spettatori di sinistra e non solo quelli di destra.

Può darsi che fosse una affermazione in buona fede (o in buon emilio). Ma la questione andrebbe analizzata più in profondità. Tanto per cominciare, ciò che fa audience sono i film, i telefilm, i varietà etc. in cui in mezzo vengono messi i telegiornali. Poi ci sono i talk-show politici o simil-politici, e ognuno sceglierà, in base alla propria orientazione politica o in base alla sua curiosità, tra le diverse possibilità, che non necessariamente si escludono a vicenda.

Ma molti spettatori per inerzia lasciano un certo canale in attesa che riprenda Amici o La Fattoria o Gerry Scotti o Amadeus e ne segue che sentono anche senza ascoltare un certo tg piuttosto che un altro. Rimane il fatto che le trasmissioni che fanno audience oggi come oggi sono di intrattenimento; anche Ballarò fa i suoi ascolti, ma se è vero che la trasmissione è "di sinistra" sarà seguita di più da "quelli della sinistra" e quindi le rai, come televisioni non private, non cercherebbero il profitto, almeno in questo caso - negando quindi che si tratta di aziende che in ogni caso hanno bisogno di soldi per sopravvivere.

Poi c'è un'altra considerazione, ovvero quella che ciò che dà i soldi effettivamente alle televisione è la pubblicità, ovvero gli "inserzionisti". Costoro comprano a suon di milioni di euro spazi in secondi nelle televisioni, e la valutazione di dove sia più conveniente comprare questi spazi non dipende solo dal pubblico così raggiungibile (e quindi dall'audience dal punto di vista della tv)

Dipende per esempio anche dal contorno. Poiché chi fa pubblicità ha come scopo che gli utenti comprino i loro prodotti, gli inserzionisti eviteranno quegli spazi che rischiano di essere circondati da tramissioni che rendono attento lo spettatore a quanto consuma e agli sprechi. Cioè, si orienteranno verso spazi circondati dal tacito imperativo "comprate il superfluo", "consumate" e così via. (ricordate la pubblicità della spesa, che invitava a spendere??) Una ipotesi "popolare" è che, semmai esistano ancora trasmissioni che sensibilizzano lo spettatore verso un consumismo oculato, queste saranno trasmissioni "culturali" tipiche della rai.

Sia come sia, varie analisi di mercato hanno sottolineato come gli inserzionisti si siano sempre più orientati verso le reti di Berlusconi piuttosto che la rai. Vuoi perché c'è il suo zampino di imprenditore e proprietario di alcune agenzie pubblicitarie, vuoi perché il quadro in cui vengono inserite le pubblicità è molto più funzionale agli scopi del guadagno e del consumismo capitalistico.

Alcuni spettacolini campano poi con i soldi degli sponsor che vengono inseriti all'interno dello spettacolo stesso, e fatti da elementi chiave (conduttori, comici di punta, attori protagonisti etc)

Riassumendo comunque, il vero guadagno delle televisioni non è l'audience e basta, ma la pubblicità. E i dati indicano che gli inserzionisti preferiscono le reti mediaset. Le rai hanno di fatto meno inserzionisti, e non è solo una questioni di "politica" del palinsesto, considerando l'esistenza obsoleta del canone.

Dunque almeno un punto è ristabilito: le televisioni cercano inserzionisti, poi audience. La retroazione c'è, evidentemente, ma per qualche motivo, diciamo così, nel caso specifico è limitata ed ammortizzata da altri fattori, che non ci è dato di sapere. Ma resta il fatto che l'audience è creato da trasmissioni "innocue", principalmente, che non mirano ad influenzare lo spettatore (se non ad un sereno atteggiamente di fiducia e all'imitazione di modelli che lo predispongano all'acquisto, o meglio, alla spesa).

Quindi, mantenendo l'obiettivo profitti è comunque possibile influenzare lo spettatore sulle sue scelte politiche. Mai sottovalutare il potere della televisione. Questo non vuol dire che sia l'unico elemento in gioco, per fortuna; risulta però che una percentuale altissima di italiani prende informazioni e forma le proprie opinioni soltanto sulla tv (forse estraendo una morale dai reality-show, attraverso un oscuro simbolismo?)

Fra i modi di risparmiare che Berlusconi ha escogitato a livello di apparati statali c'è l'uso delle email al posto della corrispondenza ufficiale cartacea... Geniale (scommetto che è sua anche l'idea di digitalizzare i vecchi documenti...). Quanti miliardi di euro si risparmierebbero? Che cosa si dice sulla falsificabilità e sulla sicurezza? Bastano per compensare l'assenza degli introiti delle tasse che intende abolire?

Tutti si domandano e domandano come mai ci sia stata questa inversione di tendenza, e addirittura qualcuno richiede le elezioni anticipate, perché in una democrazia una cosa del genere vorrebbe dire solo che non c'è più fiducia nel governo attuale e si vuole cambiare.

Qualcuno esulta: finalmente anche in Italia il principio dell'alternanza. La continuità è garantita, credo, dagli intenti primi e precipui di ogni democrazia: il bene del popolo. Ma temo che siamo al massimo in una demoplutocrazia, quindi la continuità può essere garantita solo dall'esistenza, nascosta, di organismi (reali o virtuali) che trascendono lo Stato e tirano molti dei fili più importanti. Una specie di stato nello stato.

Ma andare alle elezioni anticipate è rischioso: l'opposizione ha dei programmi concreti pronti all'uso nel caso vincesse? Loro dicono di sì. Ma soprattutto, hanno pensato come "aggiustare" le cose che Berlusconi ha fatto, o piuttosto proseguiranno sulla stessa strada, almeno su certe cose, perché tornare indietro sarebbe peggio che proseguire? (E allora, che senso avrebbe questo cambio al vertice?)

In molte cose ci sembrerà che nulla muti? L'euro non tornerà a valere quanto la lira: ciò che costava 5000 lire continuerà a costare 5 euro. Per lo meno, sembra che Prodi non ci prenderà in giro dicendo "meno tasse per tutti" (ma tutti chi?) [meno tasse per Totti, meno tasse per Titti...] ma continuerà forse a farlo l'ISTAT?

All'Infedele Prodi ha già affermato che "abolire" l'irap è una utopia, perché da tale tassa derivano degli introiti giganteschi e irrinunciabili. E già per lo meno ci siamo su un punto: la consapevolezza che, purtroppo, i soldi delle tasse servono; al massimo si possono ridistribuire, ma le entrate globali devono comunque coprire le spese dello stato. Si potrebbero diminuire tali spese? Forse sì, ma non sulla pelle dei servizi, non di certi servizi.

D'altra parte favorire le imprese medio-grandi non vuol dire rendere ricco un intero paese o, peggio, farlo diventare moderno o, peggio ancora, creare le premesse per il rilancio dell'economia. Forse sbaglio, ma quello che sembra possa accadere è solo una più marcata differenza tra imprese ricche e imprese povere e tra consumatori ricchi e consumatori poveri. Una specie di detto dice che "i soldi chiamano i soldi"...

(Che dire del federalismo? Innanzitutto, in tv è stato mai spiegato bene? Sono mai stati elencati tutti i punti di questa riforma? Se le economie locali/regionali sono indipendenti e in partenza ricche, possono fare molto; ma se non hanno i mezzi, sarebbero lasciate a loro stesse, a marcire? Ma ci vorrebbe qualcuno che invece di parlare di devolution, federalismo etc spiegasse punto per punto cosa sono in realtà, e poi ci vorrebbero "esperti" di un lato e dell'altro che li analizzino criticamente...)

Ma queste ed altre sono questioni complicate, che vanno lasciate al politico di mestiere. Oggi, la politica è cosa distante. La politica la fanno i politici. Parlare di politica non è fare politica. La satira, che parla di politica, non è politica, ma strumento della politica. Qual è la esatta distinzione tra le espressioni politica, fare politica, parlare di politica, strumento della politica?

Politeia è il titolo originale di La Repubblica, res publica, di Platone. Politica è, tra le altre cose, partecipazione alla vita pubblica, allo Stato. Ma poiché lo stato sono i cittadini, compresi i loro delegati, vuol dire che ogni nostro atto "non privato", essendo un atto che interagisce con la società, è un atto politico. Nel senso migliore del termine, perché se la politica è solo quella che fanno i nostri "politici" di professione, c'è poco da pensare che sia una cosa "bella".

Il politico è il "tecnico" della politica che fa le leggi, amministra il governo, etc etc. Ma la politica non appartiene al politico e fare politica non è un verbo creato solo per i "tecnici" della politica.

Quando mangiamo la carne, non facciamo politica. Ma quando facciamo acquisti in un certo senso sì. Perché i nostri acquisti sono partecipazione alla vita pubblica (come il lavoro): scegliamo la merce e sceglierla è atto politico, diamo i soldi e contribuiamo al buon funzionamento dell'economia, che è intimamente connessa con lo stato e quindi con la res publica e quindi con la politica.

Dire che la politica è complicata e fuori dalla nostra portata, ovvero separare chi fa politica da chi vive la politica è una triste dicotomia, che la dice lunga sul fallimento della democrazia. La politica è complessa, ma non può essere al di fuori della nostra portata. Che ci sia poca o tanta "cultura politica", specialmente quando siamo chiamati a delegare i nostri rappresentanti (a mio avviso, un meccanismo fallito della democrazia), è di poco conto per lo svolgersi delle dinamiche elettorali (perché gli squilibri sono distribuiti "casualmente" su ogni classe dell'elettorato).

Non ci può essere differenza (se non di gerarchie del potere, e quindi a causa della corruzione della democrazia) tra politica, fare politica, essere strumento della politica e parlare di politica. Sono tutte forme di una stessa cosa: la politica.

Ma queste argomentazioni si prestano di più ad essere materia di un saggio piuttosto che essere scritte così in una mail che pochi leggeranno.

Aspettiamo il futuro per avere delle risposte.

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