lunedì 22 luglio 2013

L'elezione della classe politica

Secondo la definizione data dalla Treccani fanno parte della classe politica

quanti detengono il potere e hanno le responsabilità politiche nel Paese.

Non c'è alcun riferimento alle qualità che questa classe politica dovrebbe avere: si fa parte di tale classe in base al raggiungimento di certe posizioni di potere, per cui possono essere classe politica anche i peggiori uomini e criminali che il paese ha da offrire —e in tal caso avrebbe molto senso tentare di rimpiazzarli, persino scegliendo a caso tra la popolazione!

Ho parlato nel precedente post della malattia detta elitismo; possiamo ora riassumere dicendo che tale malattia consiste nel credere che la classe politica sia l'élite e che gli individui dell'élite siano gli unici adatti al buon governo, proprio per il fatto di essere le persone più colte e autorevoli. Tutti gli altri individui, quelli che formano la massa, il popolo, non devono poter influire nei processi decisionali dell'élite, se non in modo controllato opportunamente dall'élite stessa, tipicamente allo scopo di mantenere la forma apparente della democrazia (rappresentativa); la massa (il popolo) non deve poter entrare a suo piacimento nell'arena politica perché per definizione non può che essere costituita da individui né colti né autorevoli, che non sono in grado di sapere cosa è meglio per loro, non sono in grado di fare scelte razionali e sono perciò persino pericolosi per il governo. Casualmente questo modo di vedere coincide con la dottrina che per forza di cose è tanto amata dalle classi dominanti, per questo quando è espressa dagli individui che non fanno parte della classe politica mi sembra opportuno parlare di malattia.

Da notare che in questo post uso la definizione di classe politica data dalla Treccani, mentre nell'articolo precedente ho in pratica definito la classe politica come quella costituita da tutti gli individui aventi le buone qualità necessarie per governare (dunque la “classe politica” è tale perché capace di governare, e non perché detiene il potere); di conseguenza l'élite si è intesa come il meglio di tale classe politica, cioè il meglio del meglio (una selezione degli individui migliori all'interno di una classe di individui che ha già delle qualità superiori, relativamente alla capacità di governare, a quelli del resto della popolazione).

La definizione usata nel precedente articolo è quella ricavata da alcune affermazioni di un inelitato (un individuo ammalato di elitismo, ovvero un individuo che, pur non detenendo il potere, ritiene che solo l'élite possa governare correttamente e per farlo liberamente è necessario che non venga disturbata dal resto della popolazione, lui compreso). Questo inelitato (forma lieve) lasciava intendere che la classe politica, sebbene corrotta, non sia costituita da comuni cittadini (la gente), con i quali non può essere perciò rimpiazzata. Per logica, allora, deve essere costituita da cittadini non comuni e migliori della gente, nonostante siano corrotti.

In questo post mi occupo di un altro problema: come fa l'élite a diventare classe politica? Si faccia attenzione al fatto che ora sto usando le definizioni della Treccani e quindi sto in sostanza domandando come le persone più colte e autorevoli, gli individui più capaci […] e [che] sono preparati per conquistare una posizione direttiva conquistano effettivamente il potere (in una democrazia) e si assumono la responsabilità delle scelte politiche del Paese.

In linea di massima le elezioni nazionali funzionano così: degli individui (qualunque, non necessariamente parte dell'élite) si candidano, il popolo esprime delle preferenze. Tra questi due eventi c'è la propaganda, cioè ogni candidato cerca di convincere gli elettori del fatto di essere migliore di tutti gli altri candidati. Le tecniche propagandistiche non possono che essere demagogiche, populiste1 e via dicendo. Se non lo fossero vorrebbe dire che si sta tentando di convincere gli elettori (la massa, la gente) con argomenti razionali, ma il candidato che vincesse in questo modo dimostrerebbe che la gente è capace di fare scelte razionali, basandosi su solide argomentazioni ragionevoli, su dati e fatti oggettivi.

Ora cerchiamo di determinare chi farebbe parte di questa élite. Difficile dirlo. L'unico criterio usabile mi sembra quello di ricercarle in persone con un elevato livello di scolarizzazione e sostenere quindi che l'élite è formata dai migliori laureati in materie che possono contribuire a quelle qualità (che gli inelitati non definiscono con chiarezza) che servono per renderli adatti a governare. L'appartenenza all'élite non implica la volontà di diventare parte della classe politica: usiamo arbitrariamente la regola 90-9-1 e diciamo che solo l'1% è desideroso di entrare in politica.

È interessante osservare che se si rifiuta il metodo suggerito, tramite il quale cerchiamo di stabilire quanti individui “elitici” possano esserci, senza fornire una alternativa che permetta un giudizio oggettivo, allora si sta rigettando l'idea che sia possibile determinare a priori chi sia parte dell'élite e l'unica strada che rimane è quella di un giudizio a posteriori. Tornerò in qualche altro articolo su questo punto perché da qui si può partire per arrivare a realizzare che la necessità di iniettare nell'attuale democrazia rappresentativa alcuni semi della democrazia diretta è una conseguenza dell'impossibilità di stabilire senza dubbio a priori chi abbia le caratteristiche per essere considerato un individuo dell'élite e chi no.

Consideriamo questi dati e tutte le facoltà elencate, prendendo però solo gli studenti che si sono laureati in corso (se sono i migliori, non sono andati fuori corso2). (Cfr. anche questa e quest'altra tavola dell'ISTAT)

Dai dati forniti sopra abbiamo nell'anno 2000 circa 31200 laureati in tempo. L'1% ci fornisce circa 300 individui dell'élite interessati ad entrare in politica. Nel 2010 abbiamo quasi il doppio dei laureati; se supponiamo che in rapporto i fuoricorsisti siano uguali, nel 2010 dovremmo avere circa 600 individui dell'élite interessati a entrare in politica.

Se l'intervallo di candidabilità è 24-60 (il minimo è dato dall'età supposta in cui ci si laurea) il serbatoio dei rampolli dell'élite nel 2010 annovera anche quelli laureati nel 1974. Si trovano anche i dati necessari per calcolare i fuoricorsisti e scartarli, ma per pigrizia supponiamo che siano sempre il 20% (il rapporto esatto ci dà 18.75%) quelli che si laurano per tempo. Facendo i conti nel 2010 abbiamo 10311 rampolli volenterosi di essere classe politica e con una età media di 47 anni (ma abbiamo 585 ventiquattrenni e 132 sessantenni).

Globalmente abbiamo quasi 46 milioni di aventi diritto (46'905'154); il dato è del 2013, ma supponiamo che sia valido anche per il 2010 (del resto stiamo facendo delle stime che giustificano abbondantemente le approssimazioni). Da questa quantità dobbiamo togliere i laureati, anche quelli fuoricorsisti —per farlo correttamente rispettando l'intervallo 24-60 dovremmo sapere da quanti anni erano fuoricorsisti, ma mi sembra una pedanteria eccessiva—, gli ultrasessantenni e coloro che hanno più di 18 anni ma meno di 24. Abbiamo 46905154 (tutti) - 5155618 (laureati dal 1974 al 2010) - 15896353 (>60) - 3711864 (in [18, 23]) = 22141319, arrotondiamo a 22 milioni. L'1% ci dà 220 mila persone “comuni” interessate ad entrare in politica. (Ho usato questi dati, che comunque dovrebbero essere presi dall'ISTAT).

I posti di potere politico sono più dei posti in parlamento. Dovremmo sfoltire ancora un po' prima di poter continuare immaginando le elezioni nazionali per il parlamento. Per farlo bisognerebbe fare una classifica di quelli che sono considerabili posti di potere (politico) al di fuori dei seggi parlamentari, stimare in qualche modo quanti di questi “catturano” i nostri candidati ecc. Tagliamo corto dicendo arbitrariamente che solo un 20% possono essere destinati al parlamento. Quindi abbiamo 2062 élite (facciamo 2100), e 44000 persone comuni.

Ora abbiamo ancora qualche considerazione interessante da fare: le “persone comuni” possono essere raggruppate per affinità di interessi ed idee e tali gruppi avranno di sicuro numerosi punti di disaccordo. Per l'élite è diverso perché tutti sono in grado di trovare la soluzione giusta a un problema o riconoscere come giuste le possibili e ugualmente valide soluzioni proposte dagli altri, sulla base di elementi razionali. Perciò l'élite forma in teoria un solo gruppo. In pratica, mentre la formazione di gruppi tra “la gente” è dovuta a una divergenza effettiva di idee, nel caso dell'élite sarebbe pura strategia, per aumentare la probabilità di catturare voti dell'elettorato.

La ragion d'essere dell'elitismo è che il popolo non è in grado di scegliere cosa è giusto per se stesso: è un'entità irrazionale. Ho ripetuto più volte questo concetto in forme simili. Quindi i nostri comuni mortali votanti (che poi saremmo noi) non hanno gli strumenti necessari per fare alcuna scelta ragionata quando votano e la loro polarizzazione dipenderà in pratica solo dalla propaganda, cioè dalla capacità dei candidati (e dei gruppi di interesse associati!) di convincere subdolamente l'elettorato. L'élite è minoranza (un punto che dovrebbe far riflettere gli inelitati) e possiamo supporre che i gruppi di interesse associati siano minoranza (numerica); se ragioniamo in termini di quantità per valutare la forza della propaganda concludiamo che la gente dovrebbe sempre vincere e che quando non vince è perché non ha le doti necessarie nemmeno per fare una buona propaganda, oppure perché in fase elettorale si è presentatata in modo troppo frammentato, disperdendo energie.

Le cose non stanno proprio così se consideriamo che l'élite, seppur minoranza, è molto probabilmente la detentrice della maggioranza del potere economico, molto utile a fini propagandistici (si veda il principio di Pareto). Se però le cose fossero tanto facili vincerebbe sempre o una o l'altra parte, se pensiamo i candidati divisi solo in due blocchi (élite e non-élite).

Ciò detto se la propaganda non ci fosse e non ci fossero scambio di informazioni, aggregazioni, gruppi formati di interesse ecc. il voto irrazionale della gente risulterebbe indistinguibile da un voto casuale.

Se il voto è considerabile casuale la probabilità che da libere elezioni esca fuori la configurazione ideale del parlamento (quella in cui i seggi sono occupati da tutti e soli membri dell'élite) è calcolabile. Vogliamo formare combinazioni lunghe 630 (il numero di seggi) pescando da due insiemi uno di 2100 elementi (E) e l'altro di 44000 (G). Già a intuito si capisce che il numero delle combinazioni formate da tutti e soli elementi di G (G come Gente) è maggiore di quello delle combinazioni formate da tutti e soli elementi di E (E come Elite) e che tutte le altre combinazioni contengono elementi o dell'uno o dell'altro e sono quindi subottimali (relativamente all'obiettivo di comporre il parlamento di soli élite), e si può capire intuitivamente anche che ci sono più combinazioni subottimali contenenti una maggioranza di elementi di G di quante ce ne siano contenenti una maggioranza di elementi di E.

Perciò la probabilità di far diventare classe politica l'élite è inferiore a quella di far diventare classe politica la gente, nelle condizioni in cui ci siamo posti.

Portandoci in condizioni più realistiche è ragionevole continuare ad arrivare alla stessa conclusione. Un nodo cruciale della questione è che non si può eliminare la contraddizione che scaturisce dal considerare il popolo inadatto ad esprimersi in tutte le questioni di natura politica-economica, perché incapace, ma “adatto” e degno di essere interpellato quando si tratta di scegliere la supposta élite.


Note

1 Uso l'aggettivo “populista” secondo l'accezione negativa corrente, che è quella più sentita e spesso usata per attaccare un avversario politico. ^Torna sopra

2 Non credo affatto che la laurea, il tempo impiegato per laurearsi e il voto siano indicatori significati di presenza di qualità tali da rendere una persona parte dell'élite che ha i titoli per governare. Questo è uno dei problemi che qui taccio perché si sta seguendo l'idea “elitista”, proprio allo scopo di mostrarne i punti deboli, che in futuro forse tratterò ancora. La tesi in generale è che non ci sia alcun criterio oggettivo per stabilire chi faccia parte dell'élite e quindi debba governare e che proprio per questo la cosa più sensata è lasciar votare la gente per scegliere i candidati, come vuole la democrazia rappresentativa, e in seguito rendere possibile sempre alla gente di verificarne l'operato e interagire con loro secondo le correnti volontà (che, lo ricordiamo per inciso, sono dinamiche, ma anche dotate di una certa inerzia). ^Torna sopra

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