domenica 8 agosto 2010

Trappole linguistiche

Il termine "cosa" viene dal latino causa, attraverso il senso di "affare" e poi per estensione "cosa", appunto; il più breve (e dunque in un certo senso anche meno efficace) res è invece scomparso. Contemporaneamente osserviamo che la parola causa esiste, con il senso specifico ben distinto dall'altro, e la necessità di distinzione probabilmente spiega anche la differenziazione nell'evoluzione delle vocali, dove in un caso il gruppo au è divenuto o, mentre nell'altro è stato conservato.


Una "evoluzione linguistica" che mi ha sempre affascinato è penna. Questa parola mostra bene come la lingua abbia una natura molto più elastica di quanto la sua fissazione in una grammatica e in un vocabolario cartaceo facciano immaginare. La sua (semplice) storia è questa: il termine penna indica la penna degli uccelli. Ma tale penna era veniva usata per scrivere e dunque penna era lo strumento per scrivere. Quando la penna non fu più una penna ma altro oggetto con uguale funzione, il termine penna non fu abbandonato tanto che oggi ancora chiamiamo penna l'oggetto che usiamo per scrivere, e ovviamente anche le penne degli uccelli; il contesto chiarisce, come spesso accade, quello che si intende e se non dovesse essere sufficiente, possiamo sempre specificare "penna di uccello" o "penna per scrivere".

Un altro fenomeno che mi dà da riflettere è come apparentemente molte lingue tendano alla semplificazione: molte delle lingue con declinazioni le hanno perse o ridotte, e simile sorte tocca alle coniugazioni (sebbene ci siano numerose eccezioni!)... Probabilmente questo processo di semplificazione è stato "radicale" quando la lingua emersa è stata quella del così detto volgo, invece di quella parlata da una piccola (e dunque effimera) élite culturale. L'italiano passa attraverso la volgarizzazione del latino. Se questo processo ha portato a una lingua ricca con la ricca letteratura che conosciamo, vuol dire che non è, a priori, un fenomeno negativo.

Il latino però continuò ad essere la lingua della cultura per un bel pezzo, accanto all'italiano (o anche ad altre lingue). Questo mi suggerisce di distinguere bene tra la lingua come mezzo culturale e letterario, e la lingua come mezzo di comunicazione "non filosofica". Qui inserirei il discorso su come oggi, secondo un certo modo di vedere, la lingua italiano sembri barbarizzata dalle orde dei giovani televisione e musica.

Intanto vale la pena di fare un paio di premesse: la lingua è quella in uso e non quella descritta da una grammatica cartacea e lo stesso si può dire del vocabolario in relazione al lessico. Il libro di grammatica e vocabolario sono per forza di cose fotografie scattate ad un certo istante, che descrivono quanto osservato e in uso in quell'"istante"; come una fotografia non muta al mutare del paesaggio fotografato, così un testo di grammatica e un vocabolario rimangono fermi rispetto ai mutamenti linguistici e lessicali — salvo ovviamente comprare una nuova edizione! Tali mutamenti avvengono e questa è dunque la seconda premessa: la lingua è in continuo mutamento. Se così non fosse, oggi parleremmo latino; anzi, parleremmo una ipotetica protolingua comune e ci sarebbero poche macroarea linguistiche fortemente omogenee.

Fatte queste premesse, penso che chi ritiene che la "barbarizzazione" odierna della lingua (specie ad opera dei giovani) sia appunto una indecente barbarizzazione sta deliberatamente e soggettivamente ignorando le premesse su fatte e l'ulteriore osservazione che un uomo che mi saluta per strada dicendo "ossequi" può percepire come barbaro il mio modo di parlare nello stesso modo in cui posso percepire io barbaro il modo di parlare delle nuove generazioni.

Oggi non parliamo (e non scriviamo) più nemmeno come Dante, Boccaccio, Pavese, Pirandello... Leggendo questi autori percepiamo il loro italiano "vecchio", aulico, desueto... insomma, letterario ma antecedente a quello che oggi è l'italiano letterario... Nemmeno le persone che criticano l'italiano parlato moderno scrivono come scrivevano quegli autori e dunque gli sfugge il fatto che già il loro italiano è (usando il loro stesso errato metro) barbarizzato, inferiore rispetto all'"italiano precedente".

Io adoro la lingua, il suono delle parole, usare e coniare (usando reminescenze di studi latini e anche lessico greco) parole strambe, ... e uso correntemente (più o meno) condizionali e congiuntivi... anch'io posso rabbrividire per la mancanza di un congiuntivo, o per l'uso di uno sboccato dialetto — ah già ci sarebbe tutto il discorso sull'importanza e ricchezza dei dialetti... — in vece di un italiano pseudostandard, dove richiesto... Ma penso che sia una trappola linguistica delle più perverse credere che la lingua che noi riteniamo "italiano" sia la nostra e che quella parlata dal "volgo" sia solo un sottoprodotto, da evitare, di un processo di analfabetizzazione e "semplificazione culturale" e che dunque non possa avere una sua propria dignità.

Chi parlava latino avrà detto lo stesso di quei mutamenti e usi semplificati del latino che hanno portato, passo dopo passo, all'italiano.

Ciò detto è ben inteso che tra il non uso di coniugazioni poco immediate e fresche (condizionale e congiuntivo) e l'uso errato delle medesime, è da preferire il non uso! Ovvero: se non sapete usare condizionali e congiuntivi, è meglio che usate solo l'indicativo! (:-D)

1 commento:

  1. è meglio che usiate, 'gnurant! - si vede che lo leggono in molti, questo blog, se disseminando cose nessuno le nota!

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