lunedì 25 aprile 2016

Una nuova ortografia

Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contiene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti

È uno dei Placiti Cassinesi che si studia come esempio di volgare italiano.

Va sempre ricordato che la lingua che chiamiamo oggi italiano non è la lingua di 500 anni fa, che a sua volta non è nemmeno quella di 500 anni prima, e così via. Vale per l'italiano come per qualunque altra lingua.

Dimenticando questo fatto ci si può erroneamente convincere che la lingua che parliamo oggi sia immutabile, destinata a rimanere uguale a sé stessa nel tempo. Si potrebbe pensare che esistano delle regole imperiture scolpite nelle grammatiche e che siano queste ad aver determinato la lingua. In realtà è esattamente l'opposto.

Grammatiche e dizionari seguono, non precedono, la lingua. Sono loro ad adattarsi ad essa. Non viceversa.

Dunque la lingua — spesso quella parlata prima di quella scritta — cambia. Intuitivamente basta osservare che, se così non fosse, oggi non parleremmo “italiano”.

Aggiungo a questa premessa (sì, fin qui era una premessa…) qualche altro punto o invito alla lettura di post in cui ho già accennato e/o trattato in modo diretto o indiretto qualcuno dei temi pertinenti per il post che volevo fare:

  • la lingua scritta e la lingua parlata differiscono (di meno quando uno scrittore si pone come obiettivo quello di imitare il parlato);
  • un sistema di scrittura serve per scrivere una lingua ma lui stesso non è immutabile (infatti le regole ortografiche cambiano1) e raramente ha un rapporto speciale con la lingua2;
  • esistono diversi registri (sia nella lingua scritta che in quella parlata);
  • I difensori della lingua;
  • Congiuntivi;
  • Trappole linguistiche;
  • Qualche precisazione sugli alfabeti.

Un altro paio di post che c'entrano di meno, ma stanno nello stesso cesto di idee.

E infine (sempre come premessa…), dopo aver ribadito per la seconda volta che l'ortografia può mutare3, due o tre fatterelli che riguardano i sistemi di scrittura.

Nel 1928 la Turchia di Atatürk cambiò il sistema di scrittura da uno basato sull'alfabeto arabo a uno basato sull'alfabeto latino, che è quello usato ancora oggi. Il vecchio sistema di scrittura fu messo al bando.

In questo caso non siamo di fronte a cambiamenti spontanei progressivi dell'ortografia nell'ambito di uno specifico sistema di scrittura, bensì ad una imposizione artificiale di un cambiamento radicale del sistema di scrittura medesimo (con conseguente nuovo bagaglio ortografico).

Qualcosa di simile, anche se meno drastico, è avvenuto con la selezione e semplificazione degli ideogrammi nelle lingue giapponese e cinese.

Sempre relativamente ai sistemi di scrittura c'è un altro caso interessante, che è quello dell'hangŭl, sistema di scrittura usato dal coreano. È interessante il fatto che sia un sistema di scrittura creato ad hoc relativamente di recente (nel 1443). Che io sappia non ci sono altri esempi di sistemi di scrittura “artificiali”4 usati da lingue naturali vive.

Riforma dell'ortografia italiana

L'italiano ha una buona corrispondenza tra segni e suoni e regole “certe” per sapere quale suono rappresenta una lettera, un digramma o un trigramma.

Però ci sono alcune peculiarità che non hanno una ragion d'essere logica e lo scopo (un po' provocatorio) di questo post è di sbarazzarsene una volta per tutte…

La lezione del Manuzio

In italiano l'acca è muta e svolge una funzione solo nei digrammi ch/gh, dove “velarizza” la consonante che altrimenti avrebbe il suono palatale.

La presenza dell'acca in alcune voci della coniugazione del verbo avere non può essere spiegata con la necessità di differenziare graficamente quelle voci dai monosillabi/bisillabi omofoni — proprio perché sono omofoni e nella lingua parlata non cadiamo in confusione. Il contesto è sufficiente a determinarne il valore: all'interno di una frase non è realmente possibile confondere la preposizione articolata ai con la seconda persona singolare dell'indicativo presente del verbo avere5.

Se volessimo mantenere una differenza grafica, che sia «meno invasiva»6 e non crei eccezioni, perché dovremmo optare per conservare a volte sì e a volte no l'acca (muta) etimologica? La si conservi sempre, o non la si conservi!

Riprendendo quella che chiamo la lezione del Manuzio, io opto per la rimozione dell'acca.

Quindi il primo passo di questa mia proposta di riforma dell'ortografia è proprio l'abolizione dell'acca in quelle voci del verbo avere che ancora la mantengono.

Quindi, con il Manuzio, scriveremo “ò” invece di ”ho”, ”ài” invece di “hai”, “ànno” invece di “hanno”, “à” invece di “ha”.

L'acca nei digrammi ch/gh

Nei digrammi ch e gh l'acca indica la pronuncia velare in luogo di quella palatale. Ciò è necessario quando c e g sono seguite da i o e (c/g seguite da a, o o u hanno già la pronuncia velare).

La mia proposta è di usare sempre k/g per il suono velare, e sempre ć/ǵ7 per quello palatale. Per uniformità e per evitare confusione durante il passaggio da vecchia a nuova ortografia, ho preferito usare ć — quindi il segno c “nudo” non c'è più.

Questo risolve anche alcune fastidiose questioni legate alla i, di cui parlo nella prossima sezione.

Con questa modifica e quella precedente (la lezione del Manuzio) l'acca rimarrà solo in interiezioni (ah! oh! ahi! …) e parole straniere.

La questione della i

La i è usata per palatizzare c/g di fronte a a, o e u. Come abbiamo visto nella precedente sezione, con l'adozione di ć e ǵ non servirà più aggiungere questa i. Essa dovrà rimanere solo nel caso in cui serva veramente (per esempio, farmaćia, essendo la i accentata).

La i è anche usata nel trigramma sci per ottenere il suono della fricativa postalveolare sorda quando tale suono sia seguito da a, o, u.

Rappresentiamo il suono della fricativa postalveolare sorda tramite ś.

Anche qui, attenzione a non far scomparire le i che invece devono rimanere, come quelle dove cade l'accento tonico: śia è come si scriverà la parola scia. Śa è un monosillabo, come sa, e si legge come la parola scià.

Queste nuove regole ortografiche risolvono anche alcune fastidiose questioni legate alle i in alcuni plurali. Kamiće, ćilieǵe, akaće, spiaǵǵe8 sono i plurali di kamića, ćilieǵa, akaća, spiaǵǵa. Abbiamo anche faśe plurale di faśa.

Insomma, eliminiamo la i che non contribuisce alla pronuncia…9 Tra le altre cose scriveremo śenziato, cośenza e conośenza invece di scienziato, coscienza e conoscenza.

La regola (affermata ma arbitraria) per i plurali di nomi uscenti in -cia, -gia e -scia, enunciata per esempio qui, diventa obsoleta.

Attenzione però alle i accentate, e quindi realmente pronunciate, come già detto sopra.

Di recente mi è capitato di leggere il neologismo (credo che sia tale) scialpinismo. Poiché deriva dalla fusione delle parole sci e alpininismo (—e niente, non legge nessuno:-D—), ritengo che la i si debba sentire, per cui scriveremo śialpinismo e non śalpinismo.

Altri digrammi/trigrammi

Il digramma gn è la nasale palatale. Prendiamo esempio dai cugini spagnoli e usiamo ñ. Quindi scriviamo añostiko invece di agnostico.

Il digramma gl e il trigramma gli, qualora rappresentino il suono della laterale approsimante palatale, verranno scritti come j.

  • Ji ò detto di venire domani e portare il cañolino.
  • Śemo, jelo dovevi tojere con la forza!

Attenzione a non cadere nell'errore di pronunciare j senza geminarla, perché per il suono in questione la geminazione avviene sempre.

Anche se la nuova ortografia è più “fonetica”, di fatto essa si limita a sostituire alcuni digrammi/trigrammi e poco altro: scriviamo aglio e non agglio, e perciò scriveremo ajo e non ajjo.

La lettera q compare solo per rappresentare /kw/, quindi viene abolita e al suo posto si usa la k: kuesto è un kaso di lettera del tutto inutile. Naturalmente scriveremo sokkuadro e non soqquadro e la q sopravviverà in certe parole straniere.

Potrebbe esserci un problema di interpretazione tra kui (cui) e kui (qui)? Si risolve mettendo l'accento: allora scriveremo kui per cui, e kuì per qui (dove l'accento non è sentito come necessario proprio per via dell'uso del qu che porta ad una sola pronuncia possibile, quella “tronca”).

Conclusione

A noi che siamo abituati a leggere e scrivere secondo l'ortografia corrente, la nuova ortografia ci sembrerà brutta, difficile, macchinosa… Non sarebbe così per un bambino a cui fosse insegnata da subito, così come un bambino che imparasse a fare di conto in base 9 lo troverebbe normale proprio come trovano normale contare in base 10 quelli a cui è stato insegnato fin dalle elementari — cioè tutti noi. Non è intrinsecamente più difficile10, né intrinsecamente più facile.

La nuova ortografia è una proposta semiseria avente come cardine la scelta del Manuzio di non mantenere l'acca nelle voci del verbo avere (purtroppo non è questa la regola che ha preso piede). Uno degli scopi è anche far riflettere sull'arbitrarietà di queste e altre regole, e sulla vanità di volerle imporre forti del fatto di crederle leggi di natura a cui dobbiamo tutti sottostare.

Ora rimane una sola cosa da fare: cominciare a scrivere testi che utilizzino la nuova ortografia, costruire un corpus letterario che possa diffondere il verbo…

Ho un'idea: cominciamo dal riscrivere con la nuova ortografia la traduzione italiana della Bibbia!


  1. Inseguendo quelle realmente in uso da chi scrive quella lingua usando quel sistema di scrittura.

  2. Voglio dire questo: quel sistema di scrittura può essere usato per scrivere anche altre lingue, e nello stesso tempo quella lingua può essere scritta anche con un altro sistema di scrittura, senza doverlo adattare o dovendolo adottare pochissimo, poco, molto o moltissimo, a seconda dei casi.

  3. Tanto che potrebbe succedere che un giorno «pò» sarà considerato corretto insieme a «po'», e poi questo magari verrà descritto come arcaico o desueto

  4. I sistemi di scrittura sono creazioni umane e quindi sono tutti artificiali. Tuttavia quelli usati dalle lingue naturali vive hanno radici antichissime. Fa eccezione l'hanğul, che non ha nemmeno 600 anni… Se conoscete altre eccezioni, scriveteli nei commenti (lo dico ai miei due lettoroi…)

  5. Vale pure in altri casi. Per esempio nessuno si preoccupa di confondere danno (essi danno, verbo) con danno (il danno, sostantivo)…

  6. Cfr. H etimologica: grafie ànno, à, ò, e ài….

  7. O equivalenti: č, ĉ, ǧ, ĝ, … Basta scegliere una volta per tutte il segno diacritico che si vuole usare e usarlo sempre consistentemente.

  8. Nelle doppie si potrà omettere uno dei due segni diacritici: spiaǵge.

  9. In italiano standard si dice ćelo, non ćielo

  10. Un giudizio del genere si fondererebbe esclusivamente sulla fossilizzazione di una conoscenza (che diviene un dogma immutabile): si scrive così, si legge così, si dice così… E così via, e così sia.

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