sabato 19 aprile 2014

«Aver ragione»

«Avere ragione»  è un'espressione strana. A me viene in mente che la sua origine è da ricercare in una locuzione di questo tipo: «io, attraverso il ragionamento esposto, ho dimostrato di possedere la ragione», cioè
La facoltà di pensare, mettendo in rapporto i concetti e le loro enunciazioni, e insieme la facoltà che guida a ben giudicare, a discernere cioè il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, il bene e il male (dalla Treccani)
Se ho tale facoltà, allora ciò che sto dicendo è naturalmente vero: posso dire che è così perché, avendo la ragione, sono in grado di distinguere tra vero e falso, giusto e ingiusto, bene e male… Tu che affermi qualcosa di diverso stai ovviamente dicendo una falsità.


(Si può anche intendere come «avere la Ragione dalla propria parte». In fin dei conti, non è poi tanto diverso).

Allora la nostra attenzione si deve spostare su cosa possa essere qualificato come “ragionamento” che dimostri di avere la ragione. In teoria, qualunque “ragionamento”, essendo esercizio della ragione, dovrebbe andare bene e come conseguenza di ciò l'asserzione «ho ragione» sarebbe sempre vera.

La definizione da vocabolario di ragione non ci aiuta: uno potrebbe dire, ingenuamente, che se in un ragionamento non si trovano segni di rapporti tra concetti e loro enunciazioni, o indizi di aver saputo discernere il vero dal falso, il giusto dall'ingiusto e il bene dal male, allora quel “ragionamento” non dimostra che l'enunciatore abbia la ragione, e quindi nemmeno si può chiamare “ragionamento”.

Il problema è rispondere a questa domanda: secondo quale criterio il giudicante sostiene che l'enunciatore non abbia messo in rapporto «i concetti e le loro enunciazioni» o che non abbia saputo discernere il vero dal falso, il giusto dall'ingiusto, il bene dal male?

Ciò richiede a sua volta un ragionamento da parte del giudicante… E così via.

L'unico approccio possibile è quello scientifico, in cui è verificabile la correttezza del ragionamento secondo regole precise e condivise; fuori dall'ambito delle scienze però, prima o poi si arriva a toccare con mano (metaforica) qualche assioma, un core concept, una convinzione personale che per sua natura non può essere oggetto di critica. Non tutte le verità sono dimostrabili, ma non solo: non tutte le verità non dimostrabili sono condivise da tutti. E se la forma del ragionamento è corretto, non resta altro che avversare le convinzioni personali di A contrapponendo loro quelle di B.

Questi problemi sono tanto più evidenti quanto gli argomenti che cerchiamo di trattare tramite la ragione e il ragionamento (suscettibile di essere analizzato secondo criteri “scientifici”) non hanno alcun elemento oggettivo e sono invece puri prodotti di una forma di pensiero soggettivo (ma non c'è alcun bisogno di specificare ogni volta “secondo me”, “per come la vedo io” e così via: sono impliciti nella natura dell'affermazione che si sta considerando).

Un esempio banale è quello dei gusti: un assioma come «i pomodori sono buoni» non può essere “smontato” e su di esso ci si possono formare diversi ragionamenti corretti. Un esempio sempre banale, ma più complesso, sono le nostre opinioni intorno  al Mondo e all'Uomo, anche con tratti politici, come «la democrazia è bene», per dirne una piuttosto spinosa che aprirebbe il vaso di Pandora, se fosse questo post il luogo per ragionarci su.

Si possono costruire ragionamenti corretti sia su «la democrazia è bene» che su «la democrazia è male», per cui alla fine si scopre che il vero terreno di scontro non è la spiegazione  (il ragionamento, che supponiamo corretto) del perché sia bene o male.

Anche a partire dalla più semplice e neutra «i pomodori sono buoni» si possono costruire ragionamenti corretti (nella forma). Questo è in realtà vero per qualunque proposizione presa come assioma! Se si scontra con l'assioma di qualche altro sistema lo scontro è insanabile, a meno che non ci sia un modo di dimostrare che gli assiomi di uno sono meno potenti dell'altro, o che, messi in relazione con qualche realtà, sono banalmente falsi o portano a conseguenze che anche il proponente non gradisce — ma comunque tutto ciò lascia un ampio terreno di scontro e argomentazione.

Mentre si dà per assodato che i “gusti personali” siano “gusti personali” legittimi tanto quanto i “gusti personali” di chiunque altro, in altri ambiti non si trova alcun motivo pratico per accettare questo fatto.

Riflessioni diverse, ma non prive delle loro spine, si possono fare sostituendo «i pomodori sono buoni» con proposizioni che facciano riferimento a realtà esterne al soggetto e valutabili oggettivamente, come per esempio «il cielo è giallo».

Chi afferma ciò dice il falso, perché il cielo non è giallo. Possiamo “misurare” (non con i nostri occhi e con il nostro cervello) il colore del cielo, ottenere dei numeri precisi che lo “descrivono” in base a quantità fisiche, e poi… usare delle tabelle che ci dicono che quella particolare quantità, avendo quel certo valore, deve causare nell'essere umano una particolare “sensazione cromatica” che nella lingua italiana chiamiamo giallo. Poiché il sistema di visione umana è a sua volta oggetto indagabile scientificamente e le sue “reazioni corrette” agli stimoli del mondo sono più o meno note, chi fa quella affermazione sta mentendo — oppure ha dei problemi nel suo sistema di visione oppure ha dei problemi di altro tipo (magari neuronali), per esempio tali per cui non sappia associare quella “sensazione cromatica” alla parola giusta (giallo, in questo esempio).

Di solito la prima ipotesi, quella del mentitore, è anche la prima che si considera, se non l'unica.

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